Remote working e smart working sono due concetti simili e spesso sono usati come sinonimi, ma in verità ci sono delle differenze. In questo articolo cercheremo di fare chiarezza
Ormai lo sappiamo, abbiamo scritto molto a riguardo in quest’ultimo anno, lo smart working è diventata una pratica molto diffusa, e anche apprezzata, tra i lavoratori e le aziende. Un fenomeno che ha certamente subito un’accelerata in seguito all’ondata di Covid-19 che ha costretto tutti a riorganizzare il proprio lavoro e di conseguenza la propria vita.
Tuttavia c’è ancora un aspetto che forse vale la pena affrontare e approfondire ulteriormente: le differenze tra remote working e smart working.
Eh sì, i due concetti non sono uguali, seppur simili. Il remote working, come dice la parola stessa, è la possibilità di lavorare da remoto grazie all’utilizzo di alcuni strumenti informatici e tecnologici, come i personal computer, per svolgere le proprie attività lavorative da casa accedendo ai server aziendali in remoto.
Anche lo smart working prevede il lavoro fuori dall’ufficio e l’utilizzo di determinate tecnologie digitali per poterlo attuare. “Ma allora sono la stessa cosa”, direte voi! Beh, è proprio qui che casca l’asino, perché infatti la differenza tra l’una e l’altra modalità non risiede affatto nella tipologia, quantità o qualità di tecnologie utilizzate: la differenza sta nella tipologia di rapporto lavorativo tra un’azienda e i propri collaboratori.
In Italia lo smart working è stato regolamentato e ben definito dal Ministero del Lavoro come «una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività».
Leggendo quanto riportato in Gazzetta Ufficiale, lo smart working in Italia è inteso come una tipologia di lavoro subordinato, pertanto lo smart worker è a tutti gli effetti un dipendente.
Invece per il remote working questo assioma non vale, in quanto il lavoratore da remoto può essere sia un dipendente che un libero professionista (e lo è nella maggior parte dei casi).
La grande evoluzione dello smart working infatti sta proprio nel modo in cui viene concepito il lavoro subordinato: questo non viene più valutato e misurato in base agli orari e alla presenza in ufficio, ma piuttosto sulla produttività del singolo che così dovrà per obiettivi e sarà libero di organizzare autonomamente le proprie attività.
Lo smart worker pertanto non ha orari stabiliti e può lavorare da qualsiasi luogo, ciò che conta è portare a termine i propri compiti, rispettare le scadenze e le fasi lavorative che gli sono state assegnate.
Per questo quando si parla di smart working si associa spesso la parola flessibilità, perché è evidente come questa modalità permetta al lavoratore di trovare facilmente un equilibrio tra gli impegni lavorativi e la propria vita privata senza dover sacrificare tempo all’una o all’altra.
Ma lo smart working va oltre il semplice, per quanto agognato da tutti, work-life balance. Infatti l’adozione di questa modalità lavorativa implica una totale revisione dei modelli di organizzazione aziendale e dei paradigmi di leadership; gli schemi di lavoro tradizionali non possono più funzionare in un sistema in cui i lavoratori sono autonomi e responsabilizzati. Bisogna allora fare spazio a concetti come condivisione, collaborazione, fiducia e flessibilità.
Non è un cambiamento immediato e richiede un certo tempo di adattamento: ogni collaboratore avrà bisogno di riassestare la propria routine in maniera ottimale per raggiungere un certo grado di produttività. Allo stesso modo anche i capi avranno bisogno di rivedere alcuni schemi e adattarsi alla novità per essere dei buoni leader.
Ma una volta messo a punto il nuovo sistema, i risultati in termini di efficienza, performance e soddisfazione personale e professionale saranno ineguagliabili.
About The Author: Giulia Palmeri
Ciao, sono Giulia, un’instancabile sportiva sempre davanti ai fornelli. Uh?
Sì, la mia giornata è fatta di tanto sport e cucina (preferibilmente con ingredienti bio e a km 0, ma questa è un’altra storia).
Ma poi, tra una nuotata, una lasagna al pesto di pistacchio e una sessione di Yoga, mi diletto anche a fare la markettara. Già, perché a me no che non mi riscopra Federica Pellegrini o Cristina Bowerman, con lo sport e la cucina amatoriale non ci si pagano le bollette.
Nel mio tempo libero infatti ho anche studiato e nel giro di qualche anno sono diventata una Digital Marketing Specialist. In sostanza pianifico strategie, scrivo contenuti e gestisco budget per attività di marketing online, con la stessa attenzione maniacale ai dettagli che ha un sarto quando cuce un vestito.
Non amo prendermi troppo sul serio, però in quello che faccio cerco di dare il meglio di me, tenendomi aggiornata per imparare ogni giorno qualcosa di nuovo.
Sono socievole, solare e amo il lavoro di squadra, ma se becco qualcuno a sbagliare una regola di grammatica non possiamo essere amici.
Come definirmi allora? Be’, con una reinterpretazione personale delle famose 4 P (il buon Porter mi scuserà): preparata, puntigliosa, pragmatica e palermitana.
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